La nostra zattera?

Si chiama Governare l’inatteso il libro interessantissimo di Karl E. Weick e Kathleen Sutclife che presenta casi concreti, soluzioni e proposte in tema di affidabilità organizzativa. Per me, che per tanti anni mi sono impegnato e ho provato a dare un contributo nelle aule e nelle attività di ricerca e consulenza sul tema della cultura di sicurezza, questo libro è un riferimento importantissimo.

Ma in questo momento, nel dramma che si sta consumando nel mondo, nel tempo sospeso che stiamo vivendo, in questa dimensione angosciante della ingovernabilità e dell’inatteso, questo titolo mi disorienta. La reazione emotiva è rabbia, ma preferisco scegliere un approccio più costruttivo. Mi aiuta tornare col pensiero al quadro La zattera della Medusa di Theodore Gericault, uno dei più grandi artisti dell’Ottocento francese.

La scena dipinta vuole stigmatizzare quel che accadde durante il naufragio della fregata francese Méduse, avvenuto il 2 luglio 1816 davanti alle coste dell’attuale Mauritania. Le cronache del tempo riportano che 250 persone si salvarono grazie alle scialuppe, mentre le 150 della ciurma dovettero essere imbarcate su una zattera di fortuna, lunga 29 metri e larga 7. Di queste, solo 15 fecero ritorno a casa. Le cause del dramma furono attribuite a negligenze e decisioni affrettate del comandante Hugues Duroy de Chaumareys che, oltre a non navigare da circa venticinque anni, non aveva una buona conoscenza di quelle acque, e questo portò la fregata a incagliarsi sul fondale sabbioso.

In certi momenti, come questo, mi sento come quel vecchio sulla zattera dipinto in atteggiamento pensoso, come se non riuscisse a darsi spiegazioni per quello che è successo. E penso che se lui trattiene il corpo del figlio per non farlo scivolare in mare, io cerco di trattenere i messaggi che mi hanno guidato nella attività professionale, come: l’individuazione e la gestione degli errori, la capacità previsionale, l’attenzione ai segnali deboli, la flessibilità nelle risposte… Ma rimango disorientato, smarrito e mi rendo conto che tutto questo non basta. Allora mi fermo.

Come salvarsi dalla zattera?

Fermandomi, “mi faccio raggiungere dall’anima” (un suggestivo invito alla consapevolezza tratto da un racconto africano) e così il mio spirito mi porta a immedesimarmi nel marinaio che sta cercando di segnalare la presenza della zattera alla nave Argus che è in lontananza. Mi immagino sventolare un panno, la bandiera dell’idealità della sicurezza, di un valore che non si fa appiattire sul fatto burocratico o su istanze meramente adempitive.

Abbandono il tema a me caro della sicurezza sul lavoro, anche se è della nostra sicurezza stiamo parlando, per asserire che oggi dobbiamo essere come Jean Charles, il marinaio africano della zattera capace di guardare oltre, che sa vivere il dramma come occasione di cambiamento, come rifiuto del ritorno alla normalità se la normalità ci ha portato a non avere difese contro questo nemico che in questi giorni stiamo combattendo.

Penso sia importante che tutti noi possiamo sventolare questa bandiera perché (come dice il Tao) mai nessuno aprirà la porta al posto nostro.

Francesco Tulli

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