Conversazione con Alessandra Vizzi, di Ariston

Conversazioni tra David Cariani di HXO e Alessandra Vizzi, Responsabile Sviluppo Personale di Ariston.

 

David Cariani: Alessandra, chi sei?

Alessandra Vizzi: Psicologa, 55 anni, ho cominciato a occuparmi di risorse umane in L’Oréal nel 1989, di cui sono stata Responsabile della selezione per l’Italia. Ho successivamente fatto un’esperienza di circa 15 anni in Merloni-Indesit dove ho ricoperto diversi ruoli, sempre nell’ambito Risorse Umane, tra cui quello di HR Business Partner nell’area Ricerca Sviluppo e Innovazione. Dopo la vendita di Indesit al Gruppo Whirpool ho ricoperto il ruolo di Direttore Risorse Umane in Fire SPA. Dall’inizio di quest’anno sono in Ariston come Responsabile dello Sviluppo del personale dell’area formazione.

David: Voglio approfittare della tua esperienza e chiederti: “Quali sono dal tuo punto di vista le conquiste conseguite nel corso di questi anni rispetto alla valorizzazione delle risorse umane e in quale direzione ti sembra ci stiamo evolvendo?”

Alessandra: La funzione risorse umane nasce per dare supporto all’organizzazione nel gestire problemi basici: selezionare le persone da assumere, definire criteri salariali.  C’è stata nel corso degli ultimi 30 anni una grande trasformazione di questa funzione, al cui interno troviamo oggi professionalità articolate e mestieri diversi. Soprattutto è cresciuta è la vicinanza della funzione Risorse Umane al business. In questo senso l’evoluzione è stata fortissima anche se abbiamo ancora grandi margini di crescita. Oggi a determinare le scelte sono soprattutto gli aspetti economici: i costi, il budget. E questo naturalmente ha un senso. Ma ciò che dobbiamo sviluppare è la nostra capacità di far comprendere e far pesare il valore strategico che hanno oggi, sempre di più, le persone. La responsabilità che abbiamo di fronte come Risorse Umane è di non trincerarci nelle nostre technicalities, ma di spingerci di più verso quelle che sono le competenze tipiche del business, per essere partner credibili, competenti, per saper dimostrare con i numeri e con la lingua tipica del business quali sono i vantaggi di alcune scelte che vanno nella direzione delle persone. In ogni caso credo che la realtà delle organizzazioni abbia molti chiaroscuri che dipendono dalle dimensioni dell’azienda e anche dall’essere italiani. Avere un posizionamento internazionale ti spinge inevitabilmente ad arricchirti di competenze interculturali, a confrontarti con le diverse tendenze che hanno in ogni Paese i mercati del lavoro.

David: Tu hai lavorato sia in aziende italiane sia in aziende multinazionali. Quali sono, secondo te, i limiti e i vantaggi dell’approccio culturale italiano nella gestione delle Risorse Umane? Cosa vale la pena di importare dalle aziende di altri Paesi?

Alessandra: C’è un tema su cui mi sto interrogando da tempo: quale sia il ruolo della funzione Risorse Umane rispetto alla cultura manageriale di riferimento, quanto dobbiamo essere noi di HR a spingere verso una managerialità e quanto invece spetti all’Organizzazione stessa. Vedo che nelle aziende che non hanno radici italiane, in particolare in quelle statunitensi, c’è una forte responsabilizzazione del management nella gestione delle risorse affidate. I processi tipici della funzione Risorse Umane – la valutazione delle performance, del potenziale, le funzioni di mentoring e coaching – sono completamente delegate ai manager. Ogni manager si sente responsabile della persona dal momento in cui la sceglie fino al momento in cui, dopo averne curato lo sviluppo, la cede ad altri funzioni, sostenendola e sponsorizzandola nei confronti della Direzione di Risorse Umane. È un’ottica che chiamerei “persona-centrica”. Nelle aziende italiane non c’è una cultura improntata alla managerialità e la responsabilità delle persone è esclusiva della funzione Risorse Umane. Credo che sia un aspetto sulla quale si debba ancora lavorare molto.

David: Mi sembra di capire che stai dicendo che la funzione Risorse Umane nelle aziende italiane sia molto spesso chiamata a svolgere un ruolo sostitutivo e ad alleggerire il management del carico di lavoro e di responsabilità relativo alla gestione delle persone. Solo laddove la responsabilità delle persone è fortemente interiorizzata dal management la funzione Risorse Umane può svolgere un ruolo integrativo, di supporto tecnico-professionale, di trasferimento di innovazione.

Alessandra: Esattamente. Credo che questo sia il grande spartiacque. Questo fenomeno affonda le sue radici nella nostra cultura, che non è improntata alla managerialità. Colgo tuttavia, nello spostamento della responsabilità delle persone verso i manager un paradossale effetto collaterale per chi si occupa di Risorse Umane. Oggi il nostro lavoro in Risorse Umane è molto centrato sui processi e il rischio è che lo sia sempre di più se vogliamo davvero contribuire a spostare verso i manager la responsabilità della gestione delle persone. Se voglio che i manager prendano decisioni sulle persone devo dare loro informazioni e strumenti: per esempio devo fornirgli un pannello di controllo in cui possano visualizzare all’istante i livelli di inquadramento salariare per uno specifico ruolo oppure ancora strumenti per comprendere le attitudini e i tratti delle persone. E questo significa concentrarmi sui processi e fare molto lavoro a tavolino. Il paradosso è questo:  se non riequilibriamo il peso e il tempo dedicato alla gestione processi forse per tornare a occuparci di persone noi HR dobbiamo cambiare mestiere e metterci a fare i manager. O forse, mi viene da dire, occorre cominciare a pensare che chi si occupa di risorse umane deve occuparsi di processi e non di persone.
L’altro paradosso cui siamo di fronte è l’eccesso di informazione e di dati. Penso ad esempio ai sistemi di gestione delle competenze che sono clamorosamente falliti. Eppure ci siamo passati tutti. Sistemi incredibili, mastodontici che sono finiti nei cassetti delle direzioni risorse umane. Perché dobbiamo accettare il fatto che è impossibile pensare di gestire da un punto di vista informativo il percorso di carriera di una persona quando le variabili che incidono nei percorsi sono tantissime e non solo di natura organizzativa, ma anche personali, poiché le motivazioni e i vincoli della persona cambiano nel tempo. Se perdi il contatto con la risorsa fai dei disegni magnifici che la persona però non condivide perché ha nel frattempo elaborato tutt’altri piani per se stessa in base alle sue esigenze personali, affettive, familiari. Tutti questi aspetti che sono legati alla vita vera delle persone, i nostri sistemi informativi, per quanto raffinati, non sono in grado di coglierli. Il paradosso è questo: noi facciamo del nostro meglio per disegnare i percorsi di carriera sulla base dell’esperienza e della competenza, monitorando il livello di potenziale delle persone e ottenendo un profilo più o meno rassicurante che presentiamo alla Direzione. Ma quando lo confrontiamo con la realtà ci rendiamo conto che si tratta di una fotografia incompleta perché manca della parte più profonda, manca delle persone.

David: Come possiamo cogliere gli aspetti mancanti?

Alessandra: Spostare il flusso di responsabilità verso i manager è un primo passaggio ma dobbiamo fare di più: dobbiamo riuscire a spostare il perno dello sviluppo nelle mani della persone stesse, uno spostamento in cui siano le persone stesse ad essere protagoniste. Siamo ancora lontani da questo: per la mia esperienza, le persone sono attualmente in una situazione che definirei di attesa, in cui aspettano di ricevere qualcosa, non hanno un ruolo attivo, non scelgono. In sostanza ti direi che ciò che si tratta di realizzare è uno spostamento del focus sul manager e sulla persona stessa.

David: Beh, quella che proponi è una sfida clamorosa in termini di assetti, di strumenti, di ruoli. Quella che tu proponi è una visione della funzione di Risorse Umane come consulente, che non si sostituisca né ai manager né alle persone.

Alessandra: Io credo che le persone in azienda siano degli adulti che non devono essere portati per mano da un’azienda genitrice che si sostituisce a loro nel determinarne i percorsi. Il nostro compito è rendere trasparenti questi percorsi, fruibile la formazione, far sì che le persone si attivino per trovare le opportunità fornendo loro gli strumenti e il giusto livello di consapevolezza per scegliere. .

David: Grazie mille Alessandra.

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